
Asia, Birmania, Destinazioni / by PaolaVignati / Lascia un commento
La notizia del golpe in Birmania e il conseguente arresto di Aung San Suu Kyi riporta nuovamente il paese nel caos.
Dopo le elezioni di novembre 2020 in cui il partito di Aung San Suu Kyi, la NLD ha vinto, l’esercito ha mosso accuse di brogli e proclamato lo stato di emergenza per un anno.
Prima di essere arrestata la leader dell’ NLD ha chiesto al suo popolo:
“Non piegatevi non accettate il colpo di stato“
Aung San Suu Kyi la leader birmana ha una lunga storia alle sue spalle come quella del suo paese. Negli ultimi anni è stata duramente criticata per la gestione della crisi umanitaria dei Rohingya. Le sono stati tolti molti dei premi e riconoscimenti internazionali che le erano stati attributi per la sua lotta per la democrazia.
Aung San Suu Kyi si laurea a Oxford, prosegue gli studi negli Stati Uniti la sua formazione è di stampo occidentale, ma la sua cultura è birmana: il Buddhismo è la sua guida e fonte di ispirazione .
Per comprendere Aung San Suu Kyi è necessario conoscere la storia recente della Birmania. Il paese ottiene l’indipendenza dal Regno Unito dopo la seconda guerra mondiale nel 1947. Inizia una nuova era di democrazia guidata da Bogyoke Aung San, il padre di Suu Kyi, che viene però ucciso da rivali politici nel luglio dello stesso anno.
Nel 1962 con un golpe i militari prendono il potere nel paese, inizia una feroce dittatura con il carcere per gli oppositori politici.
Il terribile regime militare per oltre quarant’anni ha negato libertà civili e diritti umani, reprimendo nel sangue qualsiasi forma di opposizione uccidendo e incarcerando i dissidenti: giornalisti, studenti, monaci, persone comuni.
L’8 agosto 88, data ricordata nel paese come 8888, a Yangon, gli studenti universitari con i monaci, danno il via ad una protesta che viene soffocata nel sangue dalla polizia con migliaia di morti e arresti anche tra i monaci buddisti.
Aung San Suu Kyi non partecipa alla vita politica del paese, anzi vive in Inghilterra con il marito e i figli. Tuttavia i tragici eventi non le sono indifferenti, così raggiunge la Birmania e alla Shwedagon Paya di Yangon, la pagoda più sacra di tutta la Birmania, il 26 agosto 1988 tiene il suo primo vero discorso davanti a cinquecentomila persone:
Come figlia di mio padre non potevo restare indifferente agli eventi in corso.
Aung San Suu Kyi in conversazione con Alan Clements, La mia Birmania
Decide di prendere posizione e di fondare un partito che lotti per la democrazia in Myanmar, la Lega nazionale per la Democrazia NLD.
Se riflettiamo su cosa noi tutti desideriamo, su ciò che realmente vuole il popolo, la risposta è : una democrazia pluripartitica. Vogliamo sbarazzarci del partito unico… E’ dovere del governo attuare questo sistema il più presto possibile. Da parte sua il popolo continuerà a manifestare con mezzi pacifici e disciplinati.
Aung San Suu Kyi, Liberi dalla Paura
Nel 1990 si tengono le prime elezioni libere in Birmania e la NLD trionfa sullo SLORC (consiglio di restaurazione della legge e dell’ordine di stato) che, spalleggiato dell’esercito, rovescia il risultato delle elezioni e Aung San Suu Kyi e i vertici del suo partito vengono arrestati.
Nel mentre la giunta militare decide anche di cambiare il nome della Birmania in Myanmar.
Il regime ribattezzò strade, paesi e città di tutta la Birmania. I vecchi toponimi erano per lo più versioni anglicizzate dei nomi birmani, coniate dal governo britannico, e il regime sosteneva che i cambiamenti fossero una mossa necessaria, rimandata fin troppo a lungo, per sradicare gli ultimi strascichi del colonialismo. Ma alla base di quella scelta c’era un motivo più profondo: i generali volevano riscrivere la storia. Quando si ribattezza un posto, infatti, il vecchio nome sparisce dalle cartine e, prima o poi, anche dalla memoria. Di lì alla rimozione degli eventi storici, il passo è breve. Inoltre, battezzando città, paesi e strade, il regime si impadroniva dello spazio in cui vivevano i cittadini; indirizzi di case e attività si dovevano riscrivere e imparare da zero. E quando il regime cambiò anche il nome del Paese, bisognò correggere gli atlanti e le enciclopedie di tutto il mondo. La Birmania come tutti l’avevano chiamata fino ad allora, era stata cancellata, sostituita da una nuova creatura: il Myanmar.
Emma Larkin Sulle tracce di George Orwell in Birmania
La capitale viene trasferita da Yangon a Naypydaw nella Birmania centrale, seppur non si conoscono i reali motivi dello spostamento si è ipotizzata una precisa scelta strategica al fine di limitare sommosse e proteggersi da eventuali attacchi.
Aung San Suu Kyi è oggi detenuta nel carcere di Naypydaw.
Questo periodo di detenzione che durerà per quindici anni tra liberazioni e nuove detenzioni, tra cui gli arresti domiciliari nella casa di famiglia situata in University Avenue sulle sponde del lago Inya a Yangon.
Nel 1991 le viene conferito il Premio Nobel per la pace, che viene ritirato dalla sua famiglia, perché lei si rifiuta di lasciare il Paese.
La sua opposizione ai militari si basa sulla filosofa della non violenza di Gandhi, permeata dagli aspetti più profondi del Buddhismo.
In questa scelta è la grandezza di Aung San Suu Kyi: la giunta militare più volte la invita a lasciare la Birmania e tornare libera, ma lei rifiuta sempre, consapevole del fatto che una volta lasciato il paese il governo le impedirà l’accesso.
Rinuncia non solo alla sua libertà, ma alla sua famiglia, che può vedere in rare occasioni di visita concesse dai militari.
Quando il marito si ammala di cancro e muore in Inghilterra la leader del NLD sceglie ancora una volta la lotta per la democrazia.
Mentre mi trovavo a Yangon ho cercato la grande casa coloniale situata in University Avenue. Non è accessibile, tanto meno aperta alle visite. La sola cosa che si può vedere è il pesante cancello che impedisce la vista dell’interno. L’intero perimetro è circondato da alte mura con filo spinato e all’ingresso una torretta, presidiata da militari.
Quello che oggi viene presidiato dai militari come un luogo di memoria, è stato un carcere, altrettanto ben sorvegliato durante la dittatura. Qui si è consumato un pezzo importante di storia birmana. Non è un cancello, ma quello che rappresenta.
Forse dopo questo nuovo arresto ancora di più .
Le prime elezioni libere, dopo quelle farsa del 2010, in cui la NLD si rifiuta di partecipare, si tengono nel 2012 e la lega per la democrazia conquista 43 seggi sui 46 disponibili.
Nel 2015 le elezioni parlamentari generali hanno visto il trionfo di Aung San Su Kyi.
Aung San Su Kyi per tutti in Birmania è la Lady è venerata come una figura di eccezionale spessore dai birmani, in lei hanno riposto fiducia e speranza per un cambiamento democratico del paese.
Questa apertura democratica c’è realmente stata, i birmani, ad esempio, non hanno più paura di parlare con un straniero, reato che durante la dittatura militare sarebbe costato l’arresto immediato.
Anzi cercano il dialogo con chiunque appaia come un visitatore. Chi sia stato in Birmania, negli ultimi anni, ricorderà sicuramente di essere stato fermato, di solito nelle pagode, e gentilmente invitato a mettersi in posa per una foto di gruppo. Questa foto viene immediatamente postata su Facebook.
Perché in Myanmar Facebook è internet: quando si acquista uno smartphone il venditore installa di prassi il social media. Facebook è diventato il principale mezzo di informazione della popolazione, utilizzato da circa 18 milioni di utenti.
Quello che può sembrare un gesto innocuo ha grossi risvolti: le fake news e l’utilizzo del social media a scopo propagandistico non sono certo una novità birmana, ma anche nel paese è stato usato con questa precisa finalità.
Già a partire dal 2014 sul social media circolano numerose notizie false e campagne di odio contro i Rohingya: accuse, rivelatesi false, di stupri da parte loro di donne birmane, incendi e saccheggi ai villaggi buddisti in nome dell’Islam.
Solo nel 2018 Facebook ha ammesso la responsabilità di aver fomentato l’odio verso la minoranza musulmana.
La Birmania è abitata da oltre 100 gruppi etnici diversi raggruppati in fazioni, questi sono spesso in lotta tra di loro. L’etnia dominate è la Bamar.
I rohingya sono una minoranza etnica originaria del Bangladesh. Il regime per quasi cinquant’anni ha sempre sottolineato e promosso la loro totale estraneità dal Paese, lo dimostra oggi il fatto che la popolazione non sia intervenuta contro il genocidio in atto.
A questo va aggiunto che, dal 2012 gruppi buddisti nazionalisti radicali in particolare il Ma Ba Tha hanno indicato i mussulmani come un pericolo reale per il Buddhismo nel paese.
Aung San Suu Kyi aveva inizialmente auspicato un processo di integrazione dei rohingya, scatenando l’ira dei monaci e dei militari che, detenendo ancora un forte potere nell’esecutivo, hanno generato nuove offensive contro la minoranza.
Per capire il cambio di atteggiamento della Lady e la conseguente demonizzazione, alla velocità della luce, dell’Occidente rapidissimo nell’indignarsi, ma non così veloce nell’agire contro le tragedie che affliggono il mondo, va considerato il delicato momento politico che il paese vive: il passaggio dalla dittatura alla democrazia.
Non bastano elezioni democratiche per rendere libero un paese. Occorrono anni di transizione, così la leader birmana, sicuramente sbagliando, ha dimostrato di non voler mettere a rischio il futuro democratico del Myanmar.
Purtroppo la narrazione semplificata e mitizzata della vita di Aung San Suu Kyi adatta ad essere capita da chiunque non ha aiutato a comprendere la sua scelta, ma ne ha dato una lettura falsata main stream:da santa a demonio.
La Lady inoltre non aveva il necessario potere politico per poter fermare le operazioni senza scatenare una nuova minaccia democratica nazionale.
Questo clima di forte contrasto con l’occidente ha sicuramente indebolito la sua leadership, portando al tragico epilogo.
Liberi dalla paura di Aung San Suu Kyi qui sono racchiusi alcuni degli scritti più importanti della San Suu Kyi,oltre a descrizioni del suo Paese e riflessioni sulla democrazia, sul Buddhismo, descritto da chi lo pratica dalla nascita. Liberi dalla paura è il desiderio della scrittrice per il suo popolo, cancellare il paralizzante terrore e passare all’azione per la libertà. Un testo imprescindibile per comprendere il pensiero della leader birmana, ma anche e soprattutto conoscere le radici culturali e buddiste del Myanmar.
La mia Birmania Aung San Suu Kyi in conversazione con Alan Clements Alan Clements, è il primo americano a diventare monaco buddista, ha vissuto per sette anni in un monastero in Myanmar, si interroga sul futuro della Birmania e pone questo enorme quesito a Aung San Suu Kyi.
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Ciao, sono Paola, lettrice da sempre e viaggiatrice da molto. Libri e viaggi, più che passioni per me sono due vere ossessioni.
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