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Napoli, città di luce e ombra, sotto molti aspetti. Uno dei più particolari, che la rendono sicuramente unica, è il suo rapporto con la morte e il culto delle anime.
Napoli ci si arrangia sempre nel modo più civile possibile.
Norman Lewis, Napoli '44
Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco e il culto delle Anime Pezzentelle

La chiesa, consacrata nel 1638, detta anche chiesa d’e cape e’ morte è famosa per il culto delle capuzzelle, i crani umani sepolti nel suo ipogeo.
Anima Pezzentella dal latino petere ossia chiedere è un’anima anonima dimenticata e abbandonata che chiede preghiere dai vivi. L’adottante sceglie una capuzzella, ossia un teschio, la cura e la pulisce ponendo un fazzoletto ricamato sopra la testa.
Come nasce questo inusuale culto?
I napoletani che non potevano permettersi di essere sepolti nella chiesa, tra il XVII e XIX secolo venivano inumati al piano inferiore. Le spoglie di persone ignote, erano adottate dai viventi nella speranza che, prendendosene cura, le anime avrebbero lasciato il purgatorio per il paradiso. In cambio avrebbero offerto aiuto ai viventi.
Così nell’ipogeo, ancora oggi ci sono molte nicchie votive contenenti crani.
Questo culto era largamente favorito dalla Chiesa cattolica, infatti diventava un modo per raccogliere offerte e donazioni, al contempo i vivi lo vedevano come la possibilità di guadagnarsi un posto in paradiso espiando i loro peccati.
La capuzzella più famosa è senza dubbio Lucia , il teschio con il velo da sposa. Secondo la tradizione si tratterebbe di una principessa morta giovanissima, subito dopo il matrimonio. Intorno al teschio è stato costruito un piccolo altare e le giovani donne si rivolgono a lei in caso di problemi di amore e matrimonio.

La chiesa, nel 1969 ne vieta il culto, viste le dimensioni raggiunte.
Ma a poco sembra servire, infatti ancora oggi visitando l’ipogeo e in particolare la capuzzella di Lucia, si trovano lettere con richieste e in particolare biglietti dei mezzi di trasporto pubblico ( indicanti quindi la data) con scritte le richieste di aiuto per pene amorose.
Questo guazzabuglio di fede e di errore, di misticismo e di sensualità, questo culto esterno così pagano, questa idolatria, vi spaventano? Vi dolete di queste cose, degne dei selvaggi? E chi ha fatto nulla per la coscienza del popolo napoletano? Quali ammaestramenti, quali parole, quali esempi, si è pensato di dare a questa gente così espansiva, così facile a conquidere, così naturalmente entusiasta? In verità, dalla miseria profonda della sua vita reale, essa non ha avuto altro conforto che nelle illusioni della propria fantasia: e altro rifugio che in Dio.”
Matilde Serao, Il ventre di Napoli

Il cimitero delle Fontanelle

Un altro luogo importante per il culto delle capuzzelle, è questo cimitero. In un’antica cava di tufo sono custodite oltre otto milioni di ossa umane. Tutto inizia con le morti per peste del 1656, per poi diventare uno dei principali luoghi di sepoltura durante il colera del 1837.
La leggenda del Capitano

Tra le pressoché infinite leggende che si raccontano a Napoli, una delle più famose è quella del Capitano. Una giovane donna aveva adottato una capuzzella. Il cimitero era all’epoca anche un luogo di incontri amorosi per i fidanzati. Il fidanzato della giovane per nulla credente, sedusse, tra le tombe, la sua innamorata. La giovane devota chiese aiuto al capitano, ma la situazione peggiorò ulteriormente, infatti il fidanzato prese in giro il teschio del capitano invitandolo al loro matrimonio.
tuIl giorno delle nozze un uomo bizzarro si presentò al ricevimento, lo sposo gli chiese chi lo avesse invitato, e lo strano uomo con una benda su un occhio e un uniforme militare rispose: “Tu, alle Fontanelle”, aprì il cappotto mostrando lo scheletro che si dissolse in polvere.
I due sposi terrorizzati morirono all’istante. Nulla si sa sul luogo di sepoltura della coppia, ma si ipotizza alle Fontanelle.
La morte a Napoli
Certo che si può morire dovunque. Al mio paese quando qualcuno decede, si verificano puntigliose gare di cordoglio, con svenimenti, crisi di sconforto e tentativi di suicidio dei consanguinei, peraltro sventati da agili sopravvenuti che riescono quasi sempre ad impedire queste clamorose dimostrazioni di estrema solidarietà. Essi immobilizzano prodigiosamente, come si vede fare dai santi negli ex voto, i dissennati e madidi individui sull'ultimo centimetro del davanzale da cui stavano per spiccare il tragico salto.... Più tardi, alla famiglia spossata, gli amici recano cibi e vino. E' anche questa una competizione, che nelle case visitate dalla sventura porta l'abbondanza; come ricordo d'aver mangiato il giorno della morte di mia nonna, io per esempio non mangerò mai più.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli
La superstizione
Non nego, nel mio paese vige la jettatura.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli

La fortuna e, ancora più, la sfortuna giocano un ruolo fondamentale nella vita dei napoletani: non c'è gioielleria in città che non venda cornini in corallo come amuleti da portare appesi a collane e bracciali e, in Via Carducci mi hanno mostrato qualcosa che non immaginavo potesse esistere: una casa colpita dal malocchio, da cui passanti girano accuratamente al largo. Non c'è nulla di particolarmente sinistro nell'aspetto del numero 15, è soltanto un piccolo caseggiato moderno nel quale più di un inquilino ha posto fine ai proprio giorni. L'unica soluzione sarebbe che fra vicini ci si mettesse insieme per raccogliere il denaro bastante a costruire sul muro esterno del palazzo maledetto un altarino, ponendolo sotto la speciale protezione di qualche potente esorcista, per esempio san Gaetano.
Norman Lewis, Napoli '44
Strano rapporto con la morte e il sacro a Napoli. Vivere sotto la costante minaccia del Vesuvio necessita di coraggio e affidamento ad un’entità superiore, cosi il santo finisce per diventare una celebrità che, non solo protegge, ma aiuta concretamente attraverso i sogni che poi con la smorfia napoletana vengono trasformati in numeri, si spera, vincenti al gioco del lotto.
La possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota, ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni, e forse ne troverò l'origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi, nelle onde che scavalcavano le colline, in tutti questi pericoli che qui insidiavano la vita umana; è l'oro di Napoli questa pazienza.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli
Consigli di lettura
Napoli ’44 di Norman Lewis l’autore giunge a Napoli, con lo sbarco di Salerno il 9 settembre del 1943, il libro è un diario in forma privata di quanto succede al giovane militare, ma anche una cronaca precisa non solo di fatti, ma della storia di quel pezzo di guerra a Napoli e della straordinaria capacità di sopravvivere dei napoletani.
L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta l’autore racconta la sua infanzia e giovinezza a Napoli, senza tralasciare gli aspetti più umili come la vita nei bassi, ma mentre scrive la propria autobiografia disegna anche un grande ritratto della città attraverso i suoi abitanti. Da questo libro Vittorio De Sica ha tratto l’omonimo film.
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