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Il cibo a Napoli, è una faccenda dannatamente seria. è difficile camminare in città e non farsi tentare dai mille profumi che si diffondono da case, pizzerie, friggitorie.
In città si trova cibo ovunque, a qualunque ora del giorno. Gli esercizi si affacciano sulle vie principali, in quello che, oggi, viene definito street food, ma che per Napoli trovo riduttivo, una tale maestria culinaria esiste da molto più tempo di questa moda, più o meno inflazionata, ma soprattutto è molto più verace e genuina.
Gli spaghetti
Giuseppe Marotta ne L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta fa un’ode agli spaghetti, che è quasi poesia:
Chi entra in Paradiso da una porta non è nato a Napoli, noi il nostro ingresso nel palazzo dei palazzi lo facciamo scostando delicatamente una tendina di spaghetti. Fummo allattati in fretta, mentre cuocevano gli spaghetti; subito le nostre mamme ci staccavano dal seno e mettevano in bocca un frammento di spaghetto; prima lo avevano deterso, con le loro labbra, dal ragù: altrimenti si erano limitate a baciarlo. Io pure, cosa lascio ai miei figli, se non gli spaghetti che ereditai? L'importante, dico, è che li adattiate sempre agli stati d'animo e alle circostanze. Non fate mai il passo più lungo della gamba. Spaghetti sì, ma mettevi una mano sul cuore: chi siete per volerli alla genovese, o alle vongole, o addirittura impallinati di salsiccia, o bluastri di olive di Gaeta e argentei di alici salate, o screziati di indissolubile mozzarella o (per l'amore del cielo) al gratin? Gli spaghetti che vi lascio sono fulminei e prudenti, spicci e al tempo stesso riflessivi, una improvvisazione e una massima: sono il cibo ideale per chi ha sfacchinato dalla mattina alla sera e non ne può più; sono gli spaghetti aglio e olio.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli
In tema di pasta, non posso non dominare pasta patate e provola. Difficile trovare qualcosa di più napoletano.
L'Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano
E la pizza? Credo di non aver mai mangiato una vera pizza prima di essere stata a Napoli. Certo, ne esistono di gustose in tutta Italia, ma dove la pizza è nata è innegabilmente diversa; che sia a portafoglio, comoda da passeggio, o la classica ruota da carretto, viste le dimensioni spropositate che questo cibo assume a Napoli, resta qualcosa di sublime.
L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano nel 2017 è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio culturale immateriale.
”L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconoscita come parte del patrimonio culturale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana, secondo i criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003. Si tratta di una pratica culinaria che comprende varie fasi, tra le quali la preparazione dell'impasto, un movimento rotatorio fatto dal pizzaiolo e la cottura nel forno a legna. L'Arte è nata a Napoli, dove vivono e lavorano circa 3000 pizzaiuoli, suddivisi in tre categorie in base al'esperienza e alle capacità. Ogni anno l'Accademia dei Pizzaiuoli Napoletani organizza corsi sulla storia, gli strumenti e la tecnica del'arte con lo scopo di assicurarne la sopravvivenza, ma gli apprendisti possono fare pratica anche nelle loro case, dove l'arte è ampiamente diffusa. Il riconoscimento dell'UNESCO porta la pizza, cibo tra i più amati e consumati al mondo, nell’Olimpo della cucina nazionale e internazionale e identifica l'arte del pizzaiolo napoletano come espressione di una cultura che si manifesta in modo unico, perché la manualità del pizzaiolo non ha eguali e fa sì che questa produzione alimentare possa essere percepita come marchio di italianità nel mondo.
Unesco Patrimonio culturale immateriale dell'umanità

La pizza fritta
Ma a Napoli si va ancora oltre quando si parla di pizza. La pizza fritta. Non sono capace di descrivere quanto sia straordinario mangiarla, ma la ritengo una delle scoperte miglior della città. Enorme calzone fritto di dimensioni pantagrueliche.

Per chi è poco coraggioso c’è la montanara, anch’essa fritta, ma meno minacciosa. Sempre notevole, ma a mio gusto arriva seconda nella classifica delle pizze fritte.

Il ragù non bolle, pensa
Quasi tutti i ristoranti hanno come giorno di chiusura la domenica. Inizialmente l’ho trovato bizzarro, in una città con una vocazione turistica. Ma a Napoli la famiglia viene prima dei visitatori. La domenica è il giorno del pranzo in famiglia.
La bianca tovaglia della domenica fra il pane e il vino; lo squillo delle posate....i commensali nell'attimo di tenerezza che la zuppiera fumante suscita in chi la vede arrivare; il ragù, il rosso aromatico ragù che pulsa dei maccheroni come il sangue nelle arterie.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli
Non c’è pranzo in famiglia senza il ragù.
Da quanti secoli, ogni domenica, come la messa sugli altari, ricorre il ragù sulle mense napoletane? Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili essenze il rametto di basilico appena colto dal vaso sul davanzale. Il cielo di Napoli presiede anche in altri modi alle sorti del ragù, perché il ragù non si cuoce, ma si consegue, non è una salsa ma la storia e il romanzo e il poema della salsa. Dal momento in cui il tegame viene deposto sul fornello... fino al momento in cui il ragù è veramente pronto, tutto può succedere e può non succedere a danno o a vantaggio di questa laboriosissima salsa che impegna chi la prepara come un quadro impegna il pittore. In nessuna fase della cottura il ragù deve essere abbandonato a se stesso; come una musica interrotta e ripresa non è più musica cosi un ragù negletto cessa di essere ragù anzi perde ogni possibilità di diventarlo; la persona che per qualche minuto ha l'aria di non occuparsi del ragù a cui accudisce è solamente un virtuoso della sua arte; gli piace ostentare fiducia nei suoi eccezionali mezzi: finge finge. L'ultima lunghissima parola è al fuoco e al cucchiaio. Il ragù non bolle, pensa. Bisogna soltanto rimuovere col cucchiaio i suoi pensieri più profondi, e aver cura che il fuoco sia lento, lento. Nulla induce alla riflessione come l'accudire ad un insigne ragù.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli
Pastiera napoletana e sfogliatella
Questi due dolci sono tra i più iconici della città. Peccato gravissimo, non di gola, ma il rinunciarvi.
La pastiera napoletana, un dolce pagano di primavera fatto con vari tipi di grano tenero mondati alcuni mesi prima della maturazione, e cotti con fiori d'arancio.
Norman Lewis, Napoli '44
La pastiera napoletana, il tipico dolce del periodo pasquale, della rinascita, risale al XVI secolo, ma quella che conosciuta oggi è il frutto delle sapienti mani delle suore del convento di San Gregorio Armeno.
Tuttavia la nascita della pastiera affonda le sue radici nel mito di una sirena che, ogni primavera, emergeva dalla nacque per salutare i napoletani; questi ultimi portavano in dono alla creatura sette ingredienti: farina, ricotta, uova, grano, acqua di fiori d’arancio, vaniglia e zucchero. I sette, mescolati insieme, formarono la pastiera e per rispetto alla leggenda anche le strisce di pasta che vanno a ricoprire il dolce partenopeo devono essere sette.

La sfogliatella è riccia o frolla, qui si apre un dibattito su quale sia la migliore, un dibattito non sempre pacifico.

Consigli di lettura
Napoli ’44 di Norman Lewis l’autore giunge a Napoli, con lo sbarco di Salerno il 9 settembre del 1943, il libro è un diario in forma privata di quanto succede al giovane ufficiale, ma anche una cronaca precisa non solo di fatti, ma della storia di quel ‘pezzo’ di guerra a Napoli e della straordinaria capacità di sopravvivere dei napoletani.
L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta l’autore racconta la sua infanzia e giovinezza a Napoli, senza tralasciare gli aspetti più umili, come la vita nei bassi, ma mentre scrive la propria autobiografia disegna anche un grande ritratto della città attraverso i suoi abitanti. Da questo libro Vittorio De Sica ha tratto l’omonimo film.
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