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Una selezione di libri sulla Shoah. Data l’enorme importanza del tema questi consigli di lettura non vogliono e non possono essere esaustivi, sono stati scelti testi fondamentali sull’Olocausto e testimonianze dirette dei sopravvissuti. Libri che hanno segnato la letteratura del Novecento.
Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole aumento di pubblicazioni sulla Shoah, spesso per fini puramente commerciali, tale genere di libri, molto spesso romanzati, non è presente in questo elenco.

Se questo è un uomo di Primo Levi
Se questo è un uomo di di Primo Levi un testo imprescindibile caposaldo della letteratura del Novecento, tradotto in tutto il mondo ininterrottamente dal 1958. Primo Levi viene catturato nel 1943 a ventiquattro anni, faceva parte, senza nessuna esperienza, di una banda partigiana. Il dichiararsi ebreo lo condanna al campo di Fossoli e poi Auschwitz. Se questo è un uomo è l‘atroce e lucido racconto del campo di concentramento.
I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l'hanno sepolta, sotto l'offesa subita o inflitta altrui.
.... Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall'ingresso, già ho la fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare di notte e si siede in tutte le membra dei nostri corpi; ho già imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco con la pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato la sera; qualcuno fra di noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni stentiamo a riconoscerci l'un l'altro.Primo Levi
Ma è anche e sempre occasione di analisi più profonda e sempre attuale:
A molti individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un'infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora al termine della catena sta il Lager.
Primo Levi
Primo Levi è un chimico e proprio grazie alla sua professione si salva, lavorare al chiuso nel gelido inverno polacco fa la differenza tra la vita e la morte, inoltre arriva ad Auschwitz nel 1944 quando i tedeschi, bisognosi di manodopera, decidono di allungare la vita dei prigionieri facendoli lavorare. Sarà liberato dall’Armata Rossa nel gennaio 1945.
La Tregua di Primo Levi
La tregua di Primo Levi è il libro del ritorno, il diario di viaggio dalla liberazione di Auschwitz all’arrivo a casa a Torino, un viaggio nell’Europa liberata devastata dal crimine nazista e dalla guerra in cui risorgono i primi timidi segni di umanità.
Giunsi a Torino… Dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava.
Primo Levi
La Tregua è stato scritto quattordici anni dopo Se questo è un uomo ma il suo messaggio è altrettanto potente ed inquietante: le conclusioni di Levi non tutt’altro che ottimistiche, tregua indica un momento di pace tra due guerre, è un monito, quello che è accaduto può accadere nuovamente.
I sommersi e i salvati di Primo Levi
I sommersi e i salvati di Primo Levi la summa delle riflessioni di Primo Levi sull’esperienza di Auschwitz e il suo ultimo testo, uno straordinario libro sulla Shoah: il tema della memoria, il ruolo dei testimoni, la loro capacità di raccontare e di farsi comprendere.
Coloro che hanno sperimentato la prigionia si dividono in due categorie ben distinte, con rare sfumature intermedie: quelli che tacciono e quelli che raccontano. Entrambi obbediscono a valide ragioni: tacciono coloro che provano più profondamente quel disagio che per semplificare ho chiamato "vergogna", coloro che non si sentono in pace con se stessi, o le cui ferite ancora bruciano. Parlano, e spesso parlano molto, gli altri, obbedendo a spinte diverse.
... Per noi parlare con i giovani è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perché inaspettato, non previsto da nessuno. È avvenuto contro ogni previsione.Primo Levi
Ancora la violenza del lager e la zona grigia ovvero i prigionieri che, in qualche misura, hanno collaborato con i carnefici dai Kapos ai Sonder-kommandos questi ultimi quasi esclusivamente ebrei.
La vergogna del sopravvissuto è un tema centrale:
Hai vergogna perché sei vivo al posto di un altro? Ed in specie, di un uomo più generoso, più sensibile, più savio, più utile, più degno di vivere di te? Non lo puoi escludere: ti esamini, passi in rassegna i tuoi ricordi, sperando di ritrovarli tutti, e che nessuno di loro si sia mascherato travestito; no, non trovi trasgressioni palesi, non hai soppiantato nessuno, non hai picchiato (mai ne avresti avuto la forza?)... È una supposizione, ma rode; si è annidata profonda, come un tarlo; non si vede dal di fuori, ma rode e stride.
Primo Levi
Diario di Anne Frank
Diario di Anne Frank il diario per eccellenza, uno dei testi più famosi e letti al mondo. La giovane Anne inizia a scrivere il suo diario il 12 giugno 1942, quando ascolta alla radio il ministro dell’educazione olandese in esilio, spiegare che, dopo la fine della guerra, le testimonianze delle sofferenze subite dai cittadini sarebbero state pubblicate. Così la tredicenne Anna inizia a scrivere, il suo diario, mostrando le sue precoci doti di scrittrice e regalando al mondo una testimonianza straordinaria.
Spero potrò confidarti ogni sorta di cose, come non ho potuto fare con nessuno, e spero che mi sarai di grande aiuto.
Anne Frank
I pensieri, le riflessioni, i timori e le angosce per la guerra fuori e per la vita in uno spazio così angusto, ma anche l’amore per Peter, l’adolescenza, la straordinaria consapevolezza conquistata con la riflessione e la scrittura emergono dalle pagine rendendo Anna immortale.
Ora guardo la mia vita e noto che una fase si è inequivocabilmente chiusa; il tempo della scuola privo di timori e preoccupazioni non tornerà più. Non ne ho neppure nostalgia, l'ho superato, non posso fare soltanto sciocchezze, una parte di me resta sempre seria. Vedo la mia vita fino all'inizio del 1944 come attraverso una potente lente di ingrandimento. A casa una vita piena di sole, poi nel 42 l'improvviso cambiamento, i litigi, le accuse; non riuscivo a capacitarmi, ero scombussolata e non sapevo difendermi che con i modi bruschi. La prima metà del 43, le crisi di pianto, la solitudine, la lenta comprensione di tutti gli sbagli e i difetti che sono così grandi e sembravano addirittura enormi.... La seconda metà dell'anno le cose sono leggermente migliorate, sono diventata una ragazza, ero considerata più come un adulta. Mi sono messa a pensare, a scrivere racconti, e sono giunta alla conclusione che gli altri non avevano più niente a che fare con me, non avevano alcun diritto di spingermi di qua e di là, volevo cambiare, ma a modo mio.
Anne Frank
Anne proviene da una famiglia di ebrei tedeschi residenti a Francoforte, che, con l’avvento dal nazismo, nel 1934, scappano a Amsterdam vivendo serenamente fino al giugno 1940 quando al Germania conquista i Paesi Bassi. La vita per gli ebrei diventa insostenibile, la famiglia Frank, con l’aiuto della segretaria Miep Gies, si rifugia in un appartamento nascosto, creato sopra gli uffici dell’azienda di Otto Frank. Vivranno così per due anni coabitando con la famiglia van Pels. Fino quando non saranno denunciati e deportati a Auschwitz, dove moriranno tutti tranne il padre Otto, che, una volta ritornato in Olanda, ritrova i diari della figlia, custoditi gelosamente e mai letti dalla sua segretaria, che li ha salvati dall’oblio.
La memoria rende liberi di Liliana Segre, Enrico Mentana
La memoria rende liberi. Liliana Segre Enrico Mentana La lucida testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre, nata a Milano nel 1930. Il suo racconto inizia a Milano durante il fascismo.
Il 5 settembre 1938 ho smesso di essere una bambina come le altre. Prima di allora, essere ebrea significava per me venire esonerata dall'ora di religione... Non ricordo di aver mai sentito pronunciare la parola "ebreo" a scuola, né dalle allieve né dagli insegnanti. Del resto, io stessa ne conoscevo a malapena il senso. La mia famiglia era una famiglia di ebrei laici, come lo era la maggior parte delle famiglie di ebrei italiani.
Liliana Segre
Una bambina strappata dalla sua vita e deportata ad Auschwitz nel 1944 a tredici anni.
Annullate è la parola giusta. Se ripenso a quello che ho vissuto, provo una pena infinita per la ragazzina che ero, per quella Liliana di cui oggi potrei essere la nonna.... Molti ragazzi mi scrivono: "Lei è un'eroina". Niente di più sbagliato. Io non sono affatto un'eroina, io sono sopravvissuta per caso, non ho fatto nessun gesto di cui essere orgogliosa, nessun atto di ribellione... anzi. Ho sempre subito passivamente quanto mi succedeva intorno. Mi sentivo annullata.
Liliana Segre
Liliana Segre è una degli ultimi testimoni della Shoah, consapevole dell’importanza della sua testimonianza si prodiga attraverso libri, interviste, conferenze e incontri nelle scuole.
... io per tutto l'anno che trascorsi ad Auschwitz non trovai nessuna parola che desse voce ai sentimenti di pena ed orrore che provavo. Per quello ci sarebbero voluti decenni.
Liliana Segre
Grazie al suo impegno, a Milano, non è andato perso un pezzo di storia che oggi è possibile conoscere al Memoriale della Shoah.
Per questo ho vissuto di Sami Modiano
Per questo ho vissuto. La mia vita ad Auschwitz-Birkenau e altri esili di Sami Modiano Sami Modiano, come Liliana Segre, è uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz, da anni testimone nelle scuole di ogni ordine e grado. Nato a Rodi nel 1930, vive un infanzia serena nella comunità ebraica dell’isola oggi greca allora italiana. Nel 1938 con le leggi razziali viene espulso da scuola.
Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato com un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo.
Sami Modiano
Nel luglio 1944 Sami Modiano viene imbarcato a forza su una nave e poi su treno direzione Auschwitz. Qui perde tutta la sua famiglia, sua sorella Lucia per prima e poi il padre. Nei giorni precedenti la liberazione, ormai allo stremo delle forze, riesce sopravvivere alla marcia della morte.
Fino ai primi anni del 2000 il mio rapporto con Auschwitz- Birkenau è stato di silenzio totale...
Non so se qualche sopravvissuto si senta fortunato o sia convinto di avercela fatta per qualche merito speciale. Io so che non smettevo di pormi le stesse domande: "Perché sono tornato vivo? Perché l'ho scampata? Perché proprio io?"....
Avevo una gran paura che non mi credessero, che considerassero i mei ricordi delle storielle studiate a posta per impressionarli e ingigantite per il puro gusto di fare colpo. La stessa cosa mi era successa appena liberato. Avevo smesso di parlare dopo che i primi a cui avevo raccontato la mia storia mi avevano preso per matto. Per me rivivere quegli orrori e non essere creduto era una doppia sofferenza.Sami Modiano
Fino al primo viaggio ad Auschwitz con la moglie Selma e il compagno di prigionia Piero Terracina accompagnati da un gruppo di studenti:
Un po' alla volta però man mano che raccontavo la mia discesa sulla quella stessa rampa oltre sessant'anni prima vidi il mio pubblico farsi sempre più attento, silenzioso, interessato.
... Piansi molto quella notte, fino a quando mi si accese qualcosa nella mente... ho capito perché sono sopravvissuto! Per raccontare la storia di quell'orrore, per trasmettere agli altri una testimonianza, in nome di tutti quelli che non ce l'hanno fatta.Sami Modiano
La banalità del male di Hannah Arendt
La banalità del male di Hannah Arendt Adolf Eichmann criminale nazista, responsabile dell’organizzazione logistica della soluzione finale, ovvero la gestione del traffico ferroviario, riuscì a scappare, evitando il processo di Norimberga, nascondendosi in Argentina come molti nazisti. Qui, nel 1961, fu trovato dal Mossad e condotto in Israele dove fu processato e condannato a morte per genocidio e crimini contro l’umanità.
Hannah Arendt, filosofa tedesca, partecipa al processo come inviata del New Yorker i suoi articoli vanno oltre la cronica, distruggendo per sempre la rassicurante bugia che uomini come Eichmann fossero dei mostri, delle aberrazioni, dimostrando invece la sua “banalità”, la sua “normalità”.
La cronaca del processo oltre a fornire molti più interrogativi che risposte ripercorre il piano lucidamente elaborato dai nazisti per arrivare alla soluzione finale.
"Tu hai ammesso che il crimine commesso contro il popolo ebraico nell'ultima guerra è stato il più grande crimine della storia, ed hai ammesso di avervi partecipato.… Tu hai anche detto che la parte da te avuta nella soluzione finale fu casuale e che, più o meno, chiunque altro avrebbe potuto prendere il tuo posto: sicché quasi tutti i tedeschi sarebbero ugualmente colpevoli, potenzialmente. Ma il senso del tuo discorso era che dove tutti o quasi sono colpevoli, nessuno lo è. Questa in verità è un'idea molto comune, ma noi non siamo disposti ad accettarla.... Tu hai appoggiato e messo in pratica una politica il cui senso era di non coabitare su questo pianeta con il popolo ebraico e con varie altre razze (quasi che tu e i tuoi superiori aveste il diritto di stabilire chi deve e chi non deve abitare la terra), noi riteniamo che nessuno, cioè nessun essere umano desideri coabitare con te. Per questo, e solo per questo, tu devi essere impiccato".
Hannah Arendt
La banalità del bene di Enrico Deaglio
La banalità del bene di Enrico Deaglio una vicenda tutta italiana, l’incredibile storia di Giorgio Perlasca, un commerciante veneto che, a Budapest, nell’inverno del 1944, è riuscito a salvare migliaia di ebrei dalla deportazione fingendosi il console spagnolo.
Lei cosa avrebbe fatto al mio posto? Vedevo delle persone che venivano uccise e, semplicemente, non potevo sopportarlo. Ho avuto la possibilità di fare, e ho fatto. Tutti, al mio posto, si sarebbero comportati come me.
Giorgio Perlasca
Fascista della prima ora, Perlasca, l’8 settembre 1943 si ritrova braccato dalla SS, proprio a Budapest e invece di pensare a salvarsi decide di architettare una clamorosa truffa ad danni dei tedeschi: sfornando documenti falsi e creando otto case rifugio in cui nasconde gli ebrei che riesce salvare, alcuni addirittura strappati dai treni della morte, un attimo prima della loro partenza, confrontandosi con Adolf Eichmann.
Il testo, tratto dal suo diario, è stato pubblicato per la prima volta nel 1991, perché Perlasca, una volta rientrato in Italia, alla fine della guerra, ha taciuto la sua impresa per cinquant’anni. Premiato in Ungheria con l’Ordine della Stella d’oro e nominato Giusto tra i Giusti In Israele.
Una storia straordinaria, un orgoglio per ogni italiano.
La notte di Elie Wiesel
La notte di Elie Wiesel l’autore viene deportato con la sua famiglia all’età di quindici anni da Sighet in Transilvania a Birkenau. Qui perderà immediatamente la mamma e la sorellina e affronterà con il padre l’intera prigionia, fino alla terribile marcia della morte.
Qualcuno si mise a recitare il Kaddìsh, la preghiera dei morti. Non so se è già successo nella lunga storia del popolo ebraico che uomini recitino la preghiera dei morti per se stessi.
Elie Wiesel
Elie Wieswl è un giovane studente del Talmud e fervente ebreo, a Birkenau perde per sempre la sua fede.
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto il cielo muto. Mai dimenticherò le fiamme che consumarono per sempre la mia fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
Elie Wiesel
Unico sopravvissuto della sua famiglia dopo la guerra è diventato giornalista, scrittore e ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1986.
L'inferno di Treblika di Vasilij Grossman
L’inferno di Treblinka di Vasilij Grossman Vasilij Grossman ucraino di origini ebraiche è stato un corrispondente di guerra al seguito dell’Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale seguendo l’esercito russo fino a Berlino. Le sue testimonianze sull’Olocausto sono di una straordinaria crudezza e veridicità, egli fu tra i primi a giungere a Treblinka nel settembre 1944.
Leggere di queste cose è durissimo. E credetemi, voi che leggete, non è meno duro scriverne. "Perché farlo, allora? Perché ricordare?" Chiederà, forse, qualcuno. Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità. Chiunque giri le spalle, chiuda gli occhi o passi oltre offende la memoria dei caduti. Chiunque si rifiuti di conoscere la verità non capirà mai con quale nemico, con quale mostro si è battuta fino alla morte la nostra grande, la nostra santa Armata Rossa.
Vasilij Grossman
Treblinka è il male assoluto: campo di sterminio creato con criteri scientifici precisi per uccidere il popolo ebraico. A Trebllinka sono morti tre milioni di ebrei.
Dunque l'intero processo della catena di montaggio di Treblinka si riduceva il fatto che le bestie privavano gradualmente gli esseri umani di ciò di cui avevano goduto dalla nascita per la legge sacrosanta della vita. Per prima cosa toglievano loro la libertà, la casa e la patria e li portavano in un bosco desolato e senza nome. Poi, sul piazzale della stazione, era la volta dei loro beni, delle lettere delle fotografie dei loro cari. Una volta dietro il filo spinato toglievano loro madri, mogli e figli. Poi quegli esseri umani ormai nudi si vedevano privare dei documenti, che finivano in un falò: non avevano più un nome, dunque. Di lì finivano in un corridoio con un soffitto basso di cemento -e addio cielo, stelle, vento, sole. Lì aveva inizio l'ultimo atto di quella tragedia umana, si entrava nell'ultimo girone dell'inferno di Treblinka.
Vasilij Grossman
I nazisti, su ordine di Himmler, cercarono, senza riuscirci, di distruggere Treblinka quando capirono che la fine si stava avvicinando, l’abbandonarono nell’agosto ’44.
Come è potuto succedere? Se lo chiedono scienziati, sociologi, criminologi, psichiatri e filosofi. E' colpa della genetica, dell'educazione, dell'ambiente, delle condizioni esterne, è stata una fatalità storica o la volontà criminosa dei potenti? Che cosa è stato? Come è potuto accadere?… Il sangue innocente versato dai tedeschi è tanto, troppo tuttavia, oggi come oggi parlare della responsabilità della Germania per quanto è accaduto non basta. Oggi bisogna parlare della responsabilità di tutti i popoli e di ogni singolo cittadino del mondo per quanto accadrà.
Vasilij Grossman
Grossman dopo la fine della guerra dovette assistere ad una campagna antisemita in Unione Sovietica prese coscienza della durezza del regime comunista e scrisse libri di denuncia che lo portarono a cadere in disgrazia.
Yossl Rakover si rivolge a Dio di Zvi Kolitz
Yossl Rakover si rivolge a Dio di Zvi Kolitz Nel 1946 una rivista in lingua yiddish di Buenos Aires pubblica il racconto Yossl Rakover si rivolge a Dio, l’ultimo messaggio scritto da un combattente nel Ghetto di Varsavia. Gli ebrei nell’aprile 1943 lottarono, senza speranza, ma con tutte le loro forze contro i tedeschi.
Yossl Rakover racconta questa battaglia in un testo straordinario che suscitò una disputa acerrima sulla sua paternità. Ben descritta nel saggio di Paul Badde alla fine del testo.
Il testo è uno dei capisaldi della letteratura ebraica, ogni singola riga induce una riflessione profonda nel lettore.
Non posso dire, dopo aver assistito a tanto, che il mio rapporto con Dio non sia cambiato, ma posso affermare con assoluta certezza che la mia fede in lui non è cambiata minimamente. Prima quando vivevo nel benessere, avevo con lui il rapporto che si ha con un instancabile benefattore, e nei suoi confronti rimanevo in debito. Ora quello che ho con lui è il rapporto con uno che anche a me deve qualcosa, che mi deve molto…. Credo nel Dio di Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui…. Non Ti chiedo neanche di annientare i colpevoli. E’ nella logica inesorabile degli avvenimenti che alla fine si annientino da soli, poiché con la nostra morte è stata uccisa la coscienza del mondo, poiché un mondo è stato assassinato con l'assassinio d’Israele.
Zvi Kolitz
Lasciami andare, madre di Helga Schneider
Lasciami andare, madre di Helga Schneider Una storia vera, straziante, l’autrice viene abbandonata dalla madre che, nel 1941, si arruola nelle SS come sorvegliante nei campi prima a Ravensbrück e poi ad Auschwitz.
Helga ha quattro anni e suo fratello Peter nemmeno due quando la madre scompare per sempre dalle loro vite. Helga rivedrà la madre nel 1971. Un incontro agghiacciante in cui la donna tenta di far provare alla figlia la divisa da SS e vuole donarle oro rubato agli ebrei.
L’autrice tronca ogni rapporto con la madre, ma nel 1998, viene contattata dalla casa di riposo dove la donna è ricoverata. Decide, con estremo coraggio, di vederla per l’ultima volta. Lasciami andare, madre è il racconto del loro drammatico incontro.
Neppure oggi ho trovato nei tuoi occhi un bagliore di autentico calore materno.
Helga Schneider
La madre ha evidenti vuoti di memoria che scompaiono quando racconta con orgoglio il suo ruolo nella Shoah.
Quelli che venivano bruciati erano solo gentaglia. La Germania doveva sbarazzarsi anche dell’ultimo Stück, dell’ultimo esemplare di quella razza ignobile”. “Tu eri d’accordo?” “ Che cosa? Se ero d’accordo con la soluzione finale? Perché credi che mi trovassi in quel posto? Per godermi una vacanza?"
Helga Schneider
Devo raccontare di Masha Rolnikaite
Devo raccontare di Masha Rolnikaite Una parte di storia poco conosciuta la Shoah in Lituania. La città di Vilna era conosciuta prima della guerra come la Gerusalemme lituana, per il grande numero di ebrei e per la fervente vita culturale e artistica da essi creata. Devo raccontare è il diario della quattordicenne Masha: “C’è una grande differenza fra me e Anna Frank. Io sono sopravvissuta”.
Così l’autrice descrive la sua storia che inizia nel 1941 e termina nel 1945. Figlia di una famiglia benestante e socialista, Masha si ritrova vivere terribili privazioni nel ghetto di Vilna e poi in campo di concentramento.
Il suo diario cartaceo va perso durante i vari trasferimenti, ma il consiglio della madre salva dall’oblio questa toccante testimonianza:
La mamma dice che non bisogna annotare tutto, le cose più importanti è meglio ripeterle e impararle a memoria, perché è molto probabile che gli scritti debbano essere distrutti.
Masha Rolnikaite
Dopo la fine della guerra Masha scrive finalmente il suo diario su carta e cerca un editore, ben consapevole dell’importanza delle sue parole, si dovrà scontrare ancora una volta con l’antisemitismo, questa volta quello di Stalin.
Diario di Etty Hillesum
Diario di Etty Hillesum Mentre ad Amsterdam Anne Frank scriveva il suo diario, anche un’altra straordinaria una giovane donna ebrea, laureata in giurisprudenza e traduttrice di opere russe, Etty Hillesum, sempre nella stessa città, iniziava a scrivere, nel marzo 1941.
Le prime pagine del diario di Etty sono dedicate alla ricerca interiore, all’incontro catartico con Julius Spier esperto di psicochirologia, il legame con quest’uomo, spingerà Etty ad una profonda introspezione psicologica. L’occupazione tedesca irrompe nella sua vita e di tutti gli ebrei olandesi, ma quello che rende straordinaria Etty è come decide di reagire: non tenta la fuga, non si nasconde, ma inizia un dialogo interiore con Dio.
Quando prego, non prego mai per me stessa, prego sempre per gli altri, oppure dialogo in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me, che per comodità io chiamo “Dio”. …. E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.
Etty Hillesum
Pagine di profonda ricerca personale, a volte ingenue, a volte piene di speranza, dettate dal grande desiderio di poter raccontare, in un futuro, gli avvenimenti.
Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei.
Etty Hillesum
Il diario continua durante i mesi di permanenza al campo di transito di Westerbork, Etty decide di andarci volontariamente per non abbandonare il suo popolo consapevole di essere il “cuore pensante della baracca” come lei stessa si definisce.
Etty partirà, con la sua famiglia, il 7 settembre 1943 su un treno diretto ad Auschwitz, dove morirà due mesi dopo. Il suo diario consegnato personalmente all’amica Maria, sarà pubblicato per la prima volta nel 1980 riscuotendo un successo mondiale.
La mia testimonianza davanti al mondo di Jan Karski
La mia testimonianza davanti al mondo di Jan Karski Il racconto autobiografico del giovane Karski, un ufficiale che nel 1939 subisce la prigionia russa e tedesca poi, riuscendo a fuggire dai entrambe per diventare un corriere dello stato segreto, ovvero della resistenza polacca, l’organizzazione nata dopo l’invasione della sua nazione ad opera della Germania nazista.
Non si tratta solo di spionaggio, ma di rischiare la vita per gli ideali di libertà e democrazia, compito che Karski porta a termine con coraggio e determinazione.
Egli visita il ghetto di Varsavia e un campo di concentramento uscendone miracolosamente vivo, l’esperienza altamente drammatica lo spinge a lottare per la causa ebraica e cercare aiuto presso gli alleati a Londra e Washington nel 1943. Le sue parole tuttavia rimarranno tristemente inascoltate dai governi occidentali.
Non capiranno perché quello che stanno facendo i tedeschi non ha precedenti nella storia dell'umanità....
..... Dopo la guerra ci sarà ancora una Polonia. Le città verranno ricostruite, le ferite si cicatrizzeranno. Da questo oceano di lacrime, di dolore e di umiliazioni riemergerà un paese che è stato anche la nostra patria. Solo che noi, gli ebrei polacchi, non ci saremo più. Saremo tutti morti. Hitler perderà la sua guerra contro l'umanità, contro la giustizia, contro il bene, ma con noi avrà vinto. Per essere precisi, non ci avrà vinti. Ci avrà sterminati.Jan Karski
L’importanza dell’ambasciata di Jan Karski verrà riconosciuta solo dopo la guerra quando sarà nominato Giusto tra le nazioni a Gerusalemme, Cavaliere dell’Ordine dell’Aquila Bianca in Polonia ed insignito della Presidential Medal of Freedom negli Usa.
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