
Destinazioni, Italia, Procida / by PaolaVignati / 1 commento
Il carcere di Procida è parte integrante della storia dell’isola. La sua imponente struttura domina l’isola da Terra Murata.
La cittadella del Penitenziario mi sembrava una specie di feudo lugubre e sacro: dunque vietato; e non ricordo mai, per tutta la mia infanzia e fanciullezza di esservi entrato da solo. Certe volte, quasi affascinato, iniziavo la salita che conduce lassù, e poi, appena vedevo apparire quelle porte fuggivo.
Elsa Morante, L'isola di Arturo
Nel 1529 il feudo di Procida è proprietà della famiglia D’Avalos, viene costruita un’imponente residenza il Palazzo D’Avalos appunto, nasce così il nome Terra Murata.
Nel 1734 il feudo di Procida è sotto il controllo di Carlo di Borbone, Re di Napoli, Palazzo D’Avalos diventa così Palazzo Reale, utilizzato per lo svago e le battute di caccia ai fagiani sull’isola. Carlo di Borbone vieta a tutti i procidani di possedere cani e gatti per evitare che vengano uccise le sue potenziali prede venatorie.
Dopo la breve parentesi della Repubblica di Napoli si arriva al 1831 in piena restaurazione il nuovo sovrano Ferdinando II trasforma il palazzo reale in carcere.
L'antico impianto di Palazzo D'Avalos fu profondamente stravolto e la struttura interna venne modificata: furono finestrati i porticati del cortile coperto d'ingresso, vennero rimossi pavimenti, affreschi e stucchi, per realizzare le celle, le camere di isolamento, la cucina e gli ambienti comuni: i grandi saloni del piano terra vennero suddivisi in stanze più piccole, mediante la costruzione di tamponature, che andavano a tagliare trasversalmente gli archi a tutto sesto.
Da reggia a carcere, guida a Palazzo D'Avalos
Il carcere rimane attivo dal 1831 al 1971. Dal 1971 la struttura viene completamente abbandonata. Solo nel 2016 il Comune di Procida ne entra nuovamente in possesso, inizia così un importante lavoro di restauro e conservazione. Al contempo nasce anche l’associazione Palazzo d’Avalos, grazie al quale, dal dicembre 2017, è possibile effettuare visite guidate all’interno del carcere.
Consiglio vivamente la visita guidata al carcere di Procida, che è parte integrante della vita e della storia dell’isola. Inoltre i volontari dell’associazione sono preparati e cortesi come solo i procidani sanno esserlo. Le mie guide, Raffaella e Luigi, mi hanno permesso di conoscere dettagli importanti di questa struttura, oltre al libro scritto dalla loro associazione Da reggia a carcere. Guida a palazzo D’Avalos
Un testo estremante interessante, non solo una guida, ma il racconto di un’epoca passata, che integra il racconto scritto con quello fotografico, oltre ai contributi, sempre fotografici, forniti dall’Istituto Luce che hanno permesso di ricostruire la vita carceraria in tutta la sua durezza.
La struttura è disposta su quattro piani di forma rettangolare.
All’ingresso si trovano i locali dell’agente portinaio, del barbiere, del maresciallo, in ultimo la foresteria che ospita giornalisti e giudici per le inchieste.
Qui hanno sede le celle; è ancora possibile vedere l’antica struttura di Palazzo D’Avalos: le volte a crociera e le cornici in piperno sopra gli ingressi delle celle.
Al piano inferiore, purtroppo inagibili, sono presenti le celle di isolamento di due metri per tre, la cella imbottita e il letto di contenzione.
In questi ambienti venivano portati detenuti puniti dal consiglio disciplinare. Per motivi di sicurezza, il prigioniero veniva privato della cinghia dei pantaloni e dei lacchi delle scarpe.
Da reggia a carcere, guida a Palazzo D'Avalos
Le camerate ospitano fino a trenta detenuti, senza strutture igieniche, se non un bugliolo al centro della stanza.
Nel periodo della II guerra mondiale il carcere raggiunge la capienza massima di 700 detenuti.
Le divise dei detenuti sono marroni per l’inverno e a righe per l’estate, in aggiunta scarpe e un berretto.
Le feritoie strombate permettevano alle guardie di controllare i prigionieri dall'esterno. Tali aperture si presentano più strette dalla parte del corridoio e più larghe all'intento per consentire una maggiore visuale.
Da reggia a carcere, guida a Palazzo D'Avalos
I controlli delle guardie avvengono più volte al giorno e anche di notte, alle 3, passando una mazza contro le sbarre.
All'interno dello studio medico è presente un rudimentale tavolo operatorio, su cui sono stati effettuati, negli anni, numerosi interventi chirurgici di emergenza.
Da reggia a carcere, guida a Palazzo D'Avalos
Qui si trovano gli uffici e la cappella; ai detenuti è concesso prendere parte alla funzioni religiose. Inoltre lavorano alla costruzione dei carri per la processione del Venerdì santo, un evento religioso con grandissima partecipazione dei procidani. La statua del Cristo morto attraversa l’isola in processione fermandosi anche nella casa di pena.
Il tetto del carcere, non fruibile ai detenuti, offre una vista spettacolare sull’isola di Procida e non solo: Napoli, la penisola Sorrentina, Capri, Ischia e Campi Flegrei.
Nella seconda metà dell’Ottocento viene costruito il complesso del carcere nuovo basato su condizioni igienico sanitarie migliori: le celle hanno una capienza massima di quattro cinque persone e sono dotate di servizi igienici. Inoltre il lavoro dei detenuti diventa uno strumento riabilitativo.
..qui i detenuti lavoravano in diversi ambienti: sartoria, tintoria, calzoleria,falegnameria e legatoria.. I detenuti falegnami costruivano, aggiustavano e intagliavano mobili; i detenuti-sarti cucivano le divise per le guardie e per i carcerati; i detenuti-legatori assemblavano libri commissionati dall'esterno. Gli orari di lavoro andavano dal 8.00 alle 11.00 e dalle 12.00 alle 15.00. Una sirena ne scandiva l'inizio, la pausa pranzo e la fine. Questo suono, lungo e lugubre, si spandeva per tutta l'isola, tanto da regolare gli orologi e la vita dei procidani stessi. I prodotti dei laboratori venivano venduti al pubblico in un locale sito nei pressi della porta d'ingresso alla direzione del carcere.
Da reggia a carcere, guida a Palazzo D'Avalos
Il penitenziario è parte integrante della vita dei procidani, quasi tutte le famiglie hanno un corredo di lino tessuto dai detenuti, così come gli sposi commissionano la realizzazione dei mobili della loro nuova casa ai carcerati.
L'altro punto di forza produttivo della casa penale di Procida era il tenimento agricolo: una superficie di terra di circa ventimila metri quadrati, coltivata dai detenuti. Questo fondo... produceva frutta e ortaggi di ogni tipo, che venivano venduti due volte alla settimana all'esterno della struttura carceraria. I detenuti allevavano bovini, suini, ovini, pollame e conigli, la cui carne poteva essere commerciata in date ben definite, mentre la vendita del latte era giornaliera.
Da reggia a carcere, guida a Palazzo D'Avalos
Come spesso accade, in Italia e nel mondo, i penitenziari vengono edificati in luoghi di straordinaria bellezza. La vista dalle finestre del carcere di Procida spazia in uno dei più bei panorami italiani: il golfo di Napoli. Chissà se per i detenuti la vista sia stato un aiuto oppure un’ulteriore pena per la privazione della libertà.
Da reggia a carcere. Guida a palazzo D’Avalos Un testo estremamente interessante, non solo una guida, ma il racconto di un’epoca passata, che integra il racconto scritto con quello fotografico, oltre ai contributi, sempre fotografici, forniti dall’Istituto Luce che hanno permesso di ricostruire la vita carceraria in tutta la sua durezza. Realizzato dai volontari dell’Associazione Palazzo D’Avalos.
L’isola di Arturo di Elsa Morante Elsa Morante, con il marito Alberto Moravia, trascorre le vacanze a Procida, nell’Albergo Eldorado. Qui nel 1955 ha l’ispirazione per L’isola di Arturo che le valse il premio Strega nel 1957. Arturo è un bambino che vive a Procida, negli anni Quaranta del Novecento l’isola è tutto il suo mondo, simbolo di libertà assoluta tra spiagge e sogni avventurosi. Orfano di madre e lasciato solo per lunghi periodi dal padre che si assenta, agli occhi del bambino, per vivere esplorazioni straordinarie.
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Ciao, sono Paola, lettrice da sempre e viaggiatrice da molto. Libri e viaggi, più che passioni per me sono due vere ossessioni.
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